La Vittimizzazione nella Violenza
Lo psichiatra americano F. Wertham affermò: “Non si può comprendere la psicologia dell’omicida se non si comprende la sociologia della vittima. Ciò di cui abbiamo bisogno è una scienza della vittimologia.” La prima definizione di “vittima” risale al XIV secolo ed era associata ad un contesto religioso di consacrazione alla divinità di qualsiasi essere vivente (animale o uomo).
La definizione di vittima si è poi estesa includendo anche chi perde la vita in una sciagura o calamità, oppure anche chi, senza sua colpa, subisce un danno ad opera dei suoi simili o in seguito a malaugurate circostanze, e ancora, sia pure inconsapevolmente, ad opera di se stesso o del proprio carattere o temperamento. Nel linguaggio giuridico il termine vittima non viene usato in modo uniforme e appare alternativamente con vari termini come “parte lesa”, “persona offesa”, ecc. Anche le situazioni cui esso è riferito sono numerose, potendosi intendere per vittima tanto il soggetto passivo del reato, cioè il titolare dell’interesse offeso, quanto l’oggetto materiale del reato, che non sempre coincide con il primo. Inoltre vittima di un reato può essere, da un punto di vista giuridico, sia una persona fisica che lo stato. I soggetti più vulnerabili sono i bambini, le donne, gli anziani, le minoranze e le vittime collettive. È necessario inoltre considerare che esiste una differenza tra le tipologie di vittimizzazione che quindi viene suddivisa in tre categorie:
1. La vittimizzazione primaria: è il complesso delle conseguenze di natura fisica, psicologica, sociale ed economica derivanti dal reato stesso, ossia una relazione avuta con l’autore del fatto
2. La vittimizzazione secondaria: è una condizione di ulteriore sofferenza e oltraggio psicologico e sociale vissuto dalla vittima in relazione ad un atteggiamento di insufficiente attenzione da parte delle agenzie di controllo.
3. La vittimizzazione terziaria: si verifica quando l’autore rimane ignoto oppure viene assolto.
In generale si può parlare di vittimizzazione nell’ abuso fisico e/o sessuale, nel maltrattamento emotivo, psicologico, nell’abuso economico e sociale; quando ci si trova coinvolti in insulti, minacce verbali, intimidazioni, denigrazioni, svalutazioni, che di solito il soggetto aggressore esprime nei confronti del proprio partner, nell’ambito di una relazione di coppia conflittuale. Il maltrattamento implica inoltre che la vittima, oltre ad essere costretta a comportarsi contro la propria volontà, si trovi in uno stato di inferiorità da un punto di vista soggettivo o oggettivo. La capacità di entrare in relazione con l’altro presuppone il riconoscimento e l’accettazione degli interessi personali in uno scambio di reciprocità. Per l’aggressore, al contrario, il partner è privo d’ individualità, è oggetto complementare a se stesso che deve essere “posseduto” per sostenere e mantenere il senso di onnipotenza narcisistica. La maggior parte delle donne che subiscono violenza e maltrattamenti in ambito domestico e che permangono a lungo, talvolta per sempre, in questa situazione, si percepiscono inferiori al suo aggressore, intellettivamente (come nel caso dei deficit mentali), oppure soggettivamente.
Fatta eccezione per le differenze oggettive e misurabili con scale di valutazione, il senso d’inferiorità tra adulti corrisponde ad una percezione distorta dell’Io e della propria immagine corporea.